Un anno fa oggi mi sono svegliato alle quattro del mattino per andare a proteggere i seggi elettorali dalla polizia spagnola. Sì, avete capito bene. Il primo ottobre del 2017 si è svolto nella Catalogna un referendum d’autodeterminazione, noto ormai in tutto il mondo per la violenza poliziesca scatenata contro gli elettori. Quel giorno ho provato una marea di emozioni discordanti: rabbia, orgoglio, odio, emozione e paura. Anche incredulità, poiché non ci saremmo mai aspettati una reazione così vigliacca da uno stato che dice amare la nostra terra. Ci sono stati centinaia di feriti e più di due milioni di voti per l’indipendenza.
Il 31 settembre 2017 ho salutato Sara e sono salito sul primo aereo che partiva da Bologna per Barcellona. Quasi tutti i passeggeri erano catalani, eccitati quanto lo ero io di tornare a casa per quella giornata storica. Per la prima volta, il governo catalano aveva avuto il coraggio di sfidare apertamente Madrid, convocando una consultazione vincolante sul futuro politico della nostra nazione. Sono arrivato a Sabadell verso le quattro del pomeriggio e mi sono subito visto con degli amici in una birreria. Lì, in centro, abbiamo chiacchierato, ci siamo aggiornati e abbiamo deciso dove incontrarci l’indomani.
Prima dell’ora di cena, sono tornato a casa per stare con mia madre e mia sorella. Volevo, pure, guardare attentamente tutti i telegiornali e scrutare i principali quotidiani del paese. Da settimane, l’ambiente era molto teso. Centinaia di poliziotti spagnoli erano stati spediti verso la Catalogna e decine di aziende registrate nella ricerca di urne e materiale elettorale. Ci sono state anche detenzioni e grandi manifestazioni contrarie alla presenza massiccia di polizia spagnola, non molto ben considerata a Barcellona.
Alle 3.30 del mattino la sveglia è suonata. Con un po’ di fatica, ho fatto la doccia e sono sceso in cucina a preparami un po’ di colazione. Mezzora dopo, col mio corpo ancora provato dall’effetto del caffè triplo, mi sono diretto verso la scuola del quartiere. Lì, c’erano già 200 persone, tutte in silenzio, aspettando ulteriori sviluppi. Tra la folla, ho incontrato una giornalista del programma Piazza Pulita, che voleva proporre ai telespettatori italiani un’altra prospettiva del conflitto. Sono rimasto davanti alla scuola fino alle sette del mattino, quando sono arrivate le urne in macchine private. Praticamente, tutto era già pronto.
Tutto d’un colpo, le forze dell’ordine spagnole hanno cominciato ad entrare in decine di centri di votazione catalani, rompendo tutto ciò che incontravano davanti. A Sabadell, si sono registrate scene assurde con manganellate furiose contro la popolazione pacificamente organizzata. Sangue, grida di terrore, pianti e, addirittura, spari di proiettili di gomma, vietati nella mia terra dal 2014. Ma chi se ne frega delle leggi catalane, vero? Grazie a Twitter, sono riuscito a capire la gravità della situazione, dopo aver visualizzato una marea di video di violenza poliziesca spudorata.
https://www.youtube.com/watch?v=APsHNIrS7-s
Sono riuscito a votare alle undici passate, dopo un’ora di fila. La gente era contenta ed emozionata. Per noi catalani, la nostra nazione è molto importante e pensiamo, almeno una maggioranza, che dovremmo avere la possibilità di decidere il nostro futuro. È da anni che chiediamo la celebrazione di un referendum accordato, ma la Spagna non ne vuole sapere niente. Non ha offerto nemmeno la possibilità di parlare di una riforma costituzionale che garantisca più competenze alle regioni. Se tutto continua così, penso che lo stato spagnolo crollerà più prima che poi. La violenza contro votanti armati con schede elettorali, d’altro canto, non si dimenticherà mai.
Verso le dodici, sono tornato a casa. Volevo pranzare, ricaricare il cellulare e, soprattutto, guardare le notizie. I video avevano già fatto il giro del mondo. I corrispondenti internazionali raccontavo con incredulità le scene che si stavano vivendo dentro le frontiere di uno stato democratico europeo. Volevo piangere, tanto. Una volta riposato fisicamente e mentalmente, mi sono diretto verso la principale scuola del centro di Sabadell. Là, ho incontrato il mio vecchio gruppo di amici e siamo rimasti nella zona fino alla sera.
A dire la verità, eravamo spaventati e nervosi. Volevamo con tutto il nostro cuore confrontare la polizia spagnola, sopratutto dopo la vergognosa carneficina della mattina, ma, contemporaneamente, ce la stavamo facendo sotto. Ci sono stati un paio di falsi allarmi che ci hanno messi in guardia. Tesi come una corda di violino, abbiamo aspettato riempendo il silenzio con canzoni popolari. Alle sette, un’ora prima della chiusura ufficiale dei seggi, i responsabili della scuola hanno deciso sgomberare tutto per evitare un eventuale raid all’ultimo sospiro.
Dopodiché, la festa è cominciata. Il centro della città era affollatissimo di gente che cantava e gridava “abbiamo votato”. Addirittura, c’era chi piangeva d’emozione. In Piazza Maggiore il comune aveva installato degli schermi giganti per seguire lo scrutinio ufficiale. Il sì, finalmente, ha vinto la consultazione con 2.020.144 voti, pari al 90,09 per cento. La partecipazione nel plebiscito, malgrado essere stato considerato illegale dal governo spagnolo e dal Tribunale Costituzionale, è stata del 42,3%. Il primo ottobre del 2017 sarà un giorno che passerà, indubbiamente, alla storia della Catalogna.

In questo momento, come ben saprete, sono in Australia, molto lontano da casa. Quando penso a quello che è successo l’anno scorso, ancora oggi, mi viene la pelle d’oca. Non riesco a capire come sia stato possibile arrivare al punto da essere massacrati dalla polizia, quando eravamo semplicemente dei cittadini pacifichi desiderosi di votare. Non dimenticherò mai l’odio con il quale ci hanno trattati, e le successive dichiarazioni dei politici spagnoli che negavano l’esistenza di feriti. Schifoso. Penso che la Spagna, il giorno del referendum, abbia perso per sempre una gran parte di catalani. Votare non può essere mai un reato.
Io non voglio problemi con nessuno. Voglio sempre l’intesa e cercare soluzioni concordate. Però quando una parte non riesce nemmeno ad accettare chi sei è molto difficile trovare un punto di partenza. Magari la Spagna fosse uno stato plurinazionale dove nessuna cultura o lingua fosse inferiore o superiore alle altre. Questo, purtroppo, non succede oggi, motivo per il quale molti catalani non si sentono a loro agio in questo progetto. Non so che succederà esattamente in un futuro, ma spero che possiamo finalmente votare legalmente e decidere, pacificamente, quale rapporto vogliamo avere con la Spagna.
Salute.
Sentiments compartits, emocions a flor de pell, orgull de pertinença, amor a la terra a la cultura i a la llengua, complicitats, anhel de llibertat, il·lusió per poder ser…
T’estimo!!!